Sindrome di Mondor e protesi mammarie: quale correlazione?

Sebbene la quasi totalità delle mie pazienti mi chieda un risultato naturale, evitando inutili eccessi, vi è spesso in loro l’inconscio desiderio di avere un seno voluminoso più di quanto non venga verbalmente manifestato. Ed è così, ormai da molti anni, che è mia abitudine utilizzare una sizer – protesi di prova – per meglio definire in sala operatoria il volume più appropriato a ogni singolo caso clinico, al di là del loro espresso desiderio.
Sindrome di Mondor e protesi mammarie quale correlazione - Chirurgia Deodato

Sindrome di Mondor: che cos’è?

Già esposta da C. Fagge nel 1869, la Sindrome di Mondor fu dettagliatamente descritta per la prima volta da Henri Mondor nel 1939. Da annoverare tra le complicanze meno frequenti, essa si manifesta dopo una Mastoplastica Additiva con la comparsa di un cordoncino duro che dal solco sottomammario scende in basso verso l’addome. È dovuta a una tromboflebite delle vene toraciche superficiali (le vene toracoepigastriche o le vene epigastriche superiori) determinata dalla compressione esercitata dalle protesi a cui si associa, secondo alcuni autori, una contrattura post-traumatica della fascia superficiale sotto-mammaria. Quest’ultima ipotesi è da considerare allorché la paziente riprende la sua abituale attività fisica. Un volume eccessivo può, quindi, esporre maggiormente a tale complicanza.

In sala operatoria utilizzo la sizer gonfiabile perché, aumentandone gradualmente il volume, riesco meglio a definire il risultato estetico finale e a capire fino a che punto posso spingermi senza incidere negativamente sul benessere dei tessuti mammari. Ma se l’effetto “boccia” è più che evidente allorché il volume distende eccessivamente il cono mammario, più difficile è capire quanto questo incida sui vasi venosi sottocutanei e sul complesso muscolo-fasciale.

In alcuni casi, la Sindrome di Mondor ne è la cartina di tornasole.

 

Sindrome di Mondor diagnosi e terapia - Chirurgia Deodato

Sindrome di Mondor: diagnosi e terapia

Nella mia esperienza clinica, è più frequente nella Mastopessi periareolare con Additiva, allorché è necessario eseguire uno scollamento sottocutaneo del polo inferiore delle mammelle per permettere un migliore sollevamento del cono mammario e una migliore ridistribuzione della pelle su di esso.

Generalmente compare tra la seconda e quinta decade del postoperatorio e non necessita di alcuna terapia, se non di antinfiammatori e di adeguato riposo. Al di là della comprensibile apprensione delle pazienti coinvolte, il suo decorso è del tutto benigno e porta a una completa guarigione nell’arco di qualche settimana.

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